martedì 17 giugno 2008


I passi si inseguono posandosi
su ciappe consunte mentre la mente
vaga lontana cercando di mettere
a fuoco la tua immagine.
Non conosco i tuoi pensieri
e, quasi, non ricordo il tuo viso.
I tuoi occhi non riflettono
la luce opaca di Genova:
sembrano vedere il mare
per i suoi colori
mentre i miei, da sempre,
vedono il volo triste dei gabbiani
e le navi allontanarsi,
in una scia di fumo.

Come intorpidito
esco dal ventre lurido
della città di notte.
L'odore della metropoli
mi rimane dentro,
s'aggrappa ai ricordi
e mi ferisce al cuore.
Credevo di trovare
la luce tenue del mattino,
o la foschia dell'alba.
Invece, ancora nel buio,
scorrono le vestigia di questa Genova
che mi avvolge come un grembo materno.

Penso a quando ti rivedrò, cerco la luce, il mare.
Starò peggio, sarà ansia e dolore.
Sarà una gogna, e quasi ne sorrido,
perché ho bisogno d'ironia
se la felicità è un lusso
che non mi è concesso avere. Sederemo vicini su quella scogliera
che argina il mare.
Ma non ti dirò il mio passato
né svelerò il mio segreto,
guarderemo lontano anche quello
che possiamo solo immaginare,
perché da qui possiamo vedere
la morte del sole e sentirne il freddo strisciante,
e da qui, stringendo gli occhi contro l'ultima luce,
posso guardare il tuo viso,
imprimerlo nella mia mente
perché sia reale e non si perda
fugace nell’oblio di un soffio caldo
di lenzuola cincischiate.

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